lunedì 23 giugno 2008

Lettera a Marco Travaglio e Beppe Grillo

A: Marco Travaglio.
P.C.: Beppe Grillo.

Oggetto: Trattato di Lisbona.

Come sicuramente saprai, Indro Montanelli, una volta, rivolgendosi a Massimo Fini, pronunciò questa frase:

"NOI ANARCHICI ABBIAMO BISOGNO DELL'ORDINE, SENNO' CHE GUSTO AVREMMO A RIBELLARCI?"

Anche Montanelli era e si considerava un ribelle.
All'ordine costituito, ma nella fattispecie odierna all'ordine preconfezionato ad uso e consumo dei potenti, dei prepotenti, dei tiranni, dei malfattori.
Ora abbiamo tutti un problema: quell'ordine della citazione di Montanelli, si appresta a diventare un super-ordine, un nuovo ordine mondiale.
Un super-stato totalitario, sovranazionale, incostituzionale, della cui natura ai popoli non è dato venire a conoscenza.
I media sono ossequenti al diktat di passare tutte le informazioni riciclandole sotto l'egida dell'usurpato termine, ormai privo di valore: "DEMOCRAZIA".
Ci imbelinano cercando di convincerci che quella sarà più democrazia per tutti.
I liberi di spirito non solo percepiscono, ma SANNO, che è la più grande menzogna che stanno raccontando ai popoli dell'europa e del mondo.
Allora, dico io, che di Montanelli ebbi incondizionata stima sebbene fosse uomo di destra mentre io no, dobbiamo mettere in atto una SUPER RIBELLIONE.
E ti riporto dunque il mio commento di ieri, per la tua attenzione e quella di Beppe Grillo.

"Ci stanno rubando gli ultimi brandelli di identità col trattato di Lisbona, infischiandone delle volontà dei popoli.
Fregandosene delle regole che loro stessi si erano dati, per cambiarle all'occasione a giochi in corso.

Ogni singola frase, ogni singolo intento, nel trattato di Lisbona, ogni singolo commento dei leaders camerieri dei Bankenstein mondiali, trasuda arroganza, prepotenza, indifferenza nei confronti della sovranità dei popoli.
Totalitarismo e nuovo ordine mondiale.
Vogliono questo.

E' il vero manifesto del nuovo ordine mondiale.

La parola da urlare dal profondo dell'anima non è "rivolta", non è "rivoluzione".
La parola d'ordine è RIBELLIONE.

Spartaco, nel 73 a.c. condusse contro Roma una rivolta di schiavi, ma con la mentalità dello schiavo.
Egli, pur nell'eroismo della sua lotta, animato da alti ideali, fronteggiò il nemico usurpatore, ma ponendosi contro di esso con le vesti che il medesimo gli aveva assegnato.

Noi siamo Popoli, noi siamo Nazioni, ma anzitutto noi siamo Uomini Liberi, non eserciti di schiavi.

Noi siamo i legittimi gestori delle nostre terre e delle risorse che la natura ci ha affidato.

Siamo i custodi delle nostre tradizioni, gli artefici delle nostre culture, noi siamo i fautori dei progressi civili e dei valori delle comunità.

Noi, agli usurpatori, ci RIBELLIAMO.

2 commenti:

Unknown ha detto...

Ue: finita la
Commedia degli Inganni

di Ida Magli
il Giornale | 17 Giugno 2008


Le reazioni a caldo dei politici al No degli Irlandesi sono state talmente “rivelatrici” del loro vissuto più vero e più profondo che è assolutamente doveroso soffermarsi ad analizzarle. Vorrei possedere la competenza dei commentatori del calcio e la loro sicurezza di essere, oltre che capiti, anche intuiti dai lettori, per spiegare con efficacia i reali retroscena - psicologici prima che politici - della commedia degli inganni che si sta svolgendo sul palcoscenico della costruzione europea. Il concetto di “biscotto” (a me ignoto e adoperato dal collega De Bellis nel descrivere il complesso stato d’animo che gli Italiani stanno vivendo per l’ultima partita dei campionati europei) mi ha illuminato e non esito ad applicarlo al complesso gioco nel quale si stanno dibattendo i governanti dei vari Stati dell’unione per vincere l’ultima partita del macroscopico campionato giocato contro i popoli d’Europa.
Questa è infatti la verità: il linguaggio ermetico, la sovrapposizione di innumerevoli burocrazie, la dosatissima e ingannevole informazione, la lentezza prudenziale con la quale sono stati compiuti i vari passaggi per giungere a proclamare il Superstato europeo, sono tutti strumenti accuratamente studiati e messi in atto per portare i cittadini a combattere contro se stessi, contro ciò che possiedono e che più amano. Si è trattato di una battaglia difficilissima perché volta ad eliminare i singoli Stati, le patrie, le identità nazionali; quelle identità che è impossibile non riconoscere in Verdi o in Petrarca come italiane e in Bach o in Goethe come tedesche. E’ vero che i governanti hanno affermato che era sufficiente definirle “europee” e di essere in grado, contro qualsiasi sistema logico, di poter effettuare il miracolo di garantire la diversità nell’uguaglianza. Ma non era operazione da poco. Quando hanno visto che si levavano soltanto deboli proteste contro la forza magica del potere, hanno fatto un altro passo e hanno tolto i confini. Certo, i cittadini si sono spaventati dell’enorme afflusso di immigrati che ne è conseguito, ma, dato che sembrava che non si fossero accorti di quale fosse il vero significato di questo atto, la perdita del territorio, i governanti ne hanno tratto la conclusione che non c’era più nulla da temere. Godiamoci il nostro impero – si sono detti - e via.
Ecco, però, che quando credevano di avercela fatta, è sopraggiunto il no degli Irlandesi. L’immediato scatto di rabbia dei politici non avrebbe potuto essere più eloquente. Addio prudenza, addio sacrosanto rispetto per la volontà popolare, addio regole dell’unanimità: siamo noi che comandiamo; avanti con le ratifiche; chi non ci vuole stare buttiamolo fuori; non saranno quei quattro gatti di Irlandesi a fermarci; gli abbiamo dato un sacco di soldi…
Il “vadano al diavolo” non è stato pronunciato ad alta voce ma è rimbombato nell’aria più forte di un tuono. Gli Irlandesi (ma insieme a loro tutti noi) hanno subito avuto la prova così di aver avuto ragione a votare no visto che uno dei motivi che li hanno spinti a non aderire al trattato è stato proprio il timore di non poter contare nulla nel consesso europeo a causa del loro piccolo numero.
Non era ancora sbollito il primo impeto di rabbia, che è cominciata subito da parte dei governanti l’operazione di recupero, mentendo spudoratamente nel far sapere quali erano a loro giudizio le cause del voto negativo. La patria, l’indipendenza, sono parole tabù che nessuno ha pronunciato. Meglio i temi di attualità: la paura dell’immigrazione, il maledetto caro petrolio. E poi, è colpa del primo ministro irlandese che non ha saputo spiegare bene il contenuto del trattato; anzi, riconosciamolo, per quanto riguarda l’Europa, siamo tutti poco capaci di comunicare, dobbiamo imparare ad esaltare la democrazia… Questa la facciata. In realtà sono già all’opera per fingere che la via d’uscita, da lungo tempo prevista, come afferma il Daily Telegraph in un articolo dedicato al Trattato come al “più audace colpo di stato di tutti i tempi”, consista in un doloroso e inevitabile ripiego.
C’è però un’altra ricaduta del voto irlandese che ancora nessuno ha recepito: la curiosità, la voglia di sapere, la passione che ad un tratto ha colpito l’opinione pubblica italiana. Ma insomma che cos’è questo trattato di Lisbona? Perché noi non ne abbiamo saputo nulla? Domande su domande piovono sui poveri cultori di una materia tanto noiosa e negletta quanto l’unione europea. Per giunta il fatto che gli unici che siano stati chiamati a esprimere la propria volontà abbiano detto di no suscita nell’animo degli Italiani la voglia di schierarsi, la passione per la lotta, scoprendo così che forse non è giusto essere stati lasciati fuori dalla mischia. Che il problema riguardi la patria, l’indipendenza, l’essere italiani, l’hanno intuito subito, con la sicurezza del malato quando gli si tiene nascosto il cancro. E mai come adesso gli Italiani hanno sentito che possedere l’Italia è un grandissimo bene. Difficile spiegare loro che il trattato di Lisbona contiene tutte le norme per la creazione e per il funzionamento del Superstato europeo e che, dal momento della sua ratifica, sarà il Superstato a governare, a giudicare. Mi hanno chiesto: come può essere “politica estera” tutto questo?

Ida Magli
Roma, 15 giugno 2008

Unknown ha detto...

editoriale
www.italianiliberi.it

Dopo il referendum irlandese sul
Trattato di Lisbona

di Christopher Booker
Daily Telegraph | 15 Giugno 2008

L'esito sensazionale del referendum irlandese ha smascherato uno dei più vergognosi inganni mai attuati nella storia della politica.
Sette anni fa i leader europei decisero che, come compimento del loro grande "progetto", avrebbero redatto una Costituzione per l'Europa.
Dopo aver allargato progressivamente il proprio potere per quasi 50 anni, spesso con il sotterfugio e l'inganno, l'Unione europea era pronta a emergere sul palcoscenico del mondo nelle sue vere vesti, di onnipotente governo sovranazionale.
Con la Dichiarazione di Laeken del 2002, piena di riferimenti alla "democrazia" e alla necessità di portare "l'Europa più vicina alla sua gente", fu allestita una convenzione, che per 18 mesi si dedicò a redigere la costituzione, strettamente sorvegliata in ogni suo punto dal presidente, Valéry Giscard d'Estaing. Per altri 18 mesi ne furono raffinati i dettagli, per poi mandarla alla ratifica da parte di compiacenti parlamenti nazionali o dei referendum che alcuni governi erano stati costretti loro malgrado a concedere.
Poi venne quel momento scioccante del 2005 in cui la Costituzione fu rigettata dagli elettori di Francia e Olanda. I leader dell'UE, attoniti, non sapevano più che pesci pigliare.
Allora, l'estate scorsa, intrapresero un piano audacissimo. Avrebbero riorganizzato i contenuti della costituzione in modo da renderla praticamente incomprensibile, omettendo ogni riferimento al concetto di costituzione, e l'avrebbero imposta ai vari parlamenti evitando accuratamente di passare per altri referendum - tranne che nell'unico paese la cui stessa costituzione lo prevedeva tassativamente: l'Irlanda.

Almeno la maggior parte dei leader dell'UE sono stati abbastanza onesti da ammettere che il nuovo trattato e la vecchia costituzione erano esattamente la stessa cosa. Solo il Primo Ministro britannico Gordon Brown, per giustificare l'aver tradito la promessa elettorale di tenere un referendum, ha fatto finta che i due documenti fossero in qualche modo molto diversi. Era così deciso a ottenere la ratifica del trattato che non ha nemmeno concesso al Parlamento il tempo necessario di discuterne sul serio. [....]

Poi è venuto il referendum irlandese, l'unico dettaglio che i politici dell'UE non erano riusciti a sistemare. Così, all'ultimo momento, una piccolissima parte dei popoli d'Europa ha avuto ancora una volta la possibilità di farsi sentire, cosa negata a tutti gli altri. E ancora una volta i leader sono rimasti attoniti - ma questa volta si erano preparati.

Nei prossimi giorni assisteremo allo spettacolo degradante dei politici intenti a proclamare delle formule predisposte in anticipo al fine di ignorare il verdetto irlandese e imporre comunque agli europei la loro costituzione-comunque-la-si-chiami. Così il progetto europeo si rivelerà per quello che è sempre stato: un possente sistema di potere statalista, gestito dall'alto, con grande disprezzo dei popoli che governa.

Ma almeno potremo ricordare questo voto da parte della gente d'Irlanda, ultimo glorioso gesto della morente democrazia europea, prima che sia stata cancellata del tutto ad opera del più sottile e audace colpo di stato si sia mai attuato nella storia.

The Daily Telegraph
http://www.telegraph.co.uk/opinion/main.jhtml?xml=/opinion/2008/06/15/do1502.xml